Avaro agricoltor non fu mai ricco*


De accuse et Denutie de li damnificati contro li Saltari...


           
               In un'epoca caratterizzata da carestie in grado di compromettere il raccolto di un'intera annata, tanto da mettere in serio pericolo la sopravvivenza di una società già minacciata dal propragarsi di epidemie trasmesse da animali domestici e dal bestiame, non ci stupiamo che un intero libro degli Statuti sia dedicato alla trattazione delle pene riservate a coloro che contribuivano volontariamente, in prima persona, a mettere a repentaglio il raccolto altrui, per invidia, cattiveria o altra ragione poco nobile.
             In un'epoca caratterizzata da una tecnologia primitiva e poco efficiente, non sorprende che venisse prevista una punizione anche per coloro che volontariamente facessero ammalare o morire un'animale da soma, oppure un animale che avrebbe rappresentato fonte di cibo tanto per la mensa quotidiana, quanto per le riserve future.

               Ci avviamo, pertanto, al termine della trattazione del contenuto degli Statuti,  affrontando il quarto e ultimo libro. Quasi certamente ci troviamo di fronte al libro più lontano dalla nostra cultura e sensibilità contemporanea, ma soltanto due generazioni fa, i temi qui trattati non sarebbero stati percepiti così estranei.
Come ha giustamente intuito Armanda Capucci, "chi porta origini contadine potrà meglio comprendere quale importanza, in quel mondo fatto di ristrettezze, fosse attribuita a comportamenti ed azioni che oggi potrebbero sembrare quasi incomprensibili o farebbero semplicemente sorridere", ma per quei tempi anche solo danneggiare intenzionalmente l'orto di un vicino, comportava una denuncia e una successiva ammenda di natura economica da pagare alle casse dello Stato, oltre al risarcimento integrale al danneggiato: 

Se persona alcuna darà damno personalmente in li Orti di altri de dì cada in pena de soldi cinque moneta applicandi a la Camara et sia obligato al damno del Patrone, se de nocte in soldi octo moneta, et ad emendatione del damno al Patrone.

Si evince pertanto una maggiorazione dell'ammenda qualora il reato fosse commesso di nascosto, con i favori delle tenebre.

                 Era vietato, oltre agli ortaggi, sottrarre grappoli di uva o troncare i pampini delle vigne altrui, o nuocere altre piante da frutto come pomi, pere, fichi, cerese, brogni (prugni), sorbe pena cinque soldi da pagare alla Camera Ducale, cioè all'Illustrissimo Signore di Ferrara.
Va sottolineato come, giustamente, la pena venisse innalzata in caso il reato avvenisse nel pieno del periodo produttivo e vegetativo della pianta danneggiata:

Se alcuno tagliarà de facto, o farà secare uno Arbore fructifero, che faza fructo sia condemnato in soldi quaranta moneta al Signor, et in altrotanto al Patrone.

                 Anche la pena inflitta a quanti provocassero danni a prati e a vigne variava con la stagione: sarebbe stata maggiore se il fieno era già cresciuto e prossimo alla mietitura, minore se le terre erano appena state seminate.
 
                Se oltre al danno materiale si fosse aggiunto il furto di frutta (spostate cose da luogo a luogo), messi o altro (ardisca ne presuma exportare ligname, ligame, o pertige, o cane nove), scattava prontamente l'accusa di furto secondo quanto illustrato nel post precedente.
Il contadino e il bovaro erano responsabili anche delle azioni commesse dal loro bestiame, qualora un danno alle colture di formento, faba, orzo, spelta, lino, miglio, segala, trisico (farro) etiam extraordinaria come lupini, zofrano (zafferano), et legumi avenisse per causa loro: in questo caso, per quantificare l'ammenda, si procedeva ad una distinzione tra animali grossi, boi, Vache, Cavalle, Cavalli, Asini e animali di taglia piccola (Pulli, o Oche)

Et sel sarà Porcho [...] tri moneta ; et sel sarò Capra similmente come del Porco; et sel sarà pecora cada in pena de soldi uno per chapo

                In un'epoca durante la quale i fossati, come le siepi, costituivano un confine tra due proprietà, era vietato tombinare o spianare li Fossati daltri.
Et sel [...] fosso del Comune fungeva da confine con un territorio limitrofo, il trasgressore aveva l'obbligo di ricavarlo a sue spese oltre a pagare il duplo de dicta pena.
Nessuno, inoltre, aveva la facoltà di interrare un fossato, nemmeno suo proprio, quando in epso fossato sia usitato il discorrere de le acque de li vicini, dal momento che il diritto all'irrigazione del proprio appezzamento era considerato imprescindibile.

In quella società rustica fatta di stenti e miserie, anche la vita degli animali allevati con fatica aveva un prezzo:

Se alcuno percuterà Animali de altri da quatro piedi, per la quale percussione le Animale mora, o sia debilitato, o in zopito, o cavato li ochii, o vero sia morto, cada in pena de soldi quaranta a la Camara Ducale, et ad emendatione del damno al patrone del damno suo
Ma se una bestia de altri damnificherà laltra bestia, il patrone de lo Animale damnificante sia obligato ad emendare il damno de la bestia damnificata al patrone de epsa, ne se possa dare in loco de la emendatione lo Animale damnificante excepto se le parte non consentano
Et in queste pene non cade quello che, amazzasse uno Cane, o vulnerasse il quale il volesse mordere**

                Vediamo dunque la procedura per richiedere un risarcimento in caso di danno:
se i danni subiti non superavano i quaranta soldi, era sufficiente giurare davanti al Vicario alla presenza di un testimone dell'accaduto.
Anche la guardia campestre (Saltaro) poteva essere accusatrice o testimone perché quello di vigilare sui campi era un suo compito specifico.
Il Vicario doveva annotare ogni fatto riferitogli dalla guardia su un libro adibito a questo scopo, stilando un verbale nel quale andavano specificati luogo, danno, accusato, accusatore, ...

Martino Saltaro il tale dì, mese, et Anno accusa Pedro cum tante bestie de tal sorte, o personalmente aver dato damno a Polo in lo suo formento posto in tale loco, et subto tale confine, mangiando, in scalchizando (calpestando), o damnificando &c. &c.

                 Il termine entro il quale era consentito denunciare un danno subito era di tre giorni, per mezzo di una notifica al Vicario consegnata personalmente dal Piazaro.
Se entro quattro giorni il damnatore non fosse stato rintracciato, atachise la cedula a la Porta del Castello. A questo punto scattava un periodo di quindici giorni durante i quali l'imputato poteva difendersi, trascorsi i quali il Vicario doveva procedere ad emettere comunque la sentenza.
Decorsi tutti i termini, il Vicario era tenuto a condannare o ad assolvere e a chiudere la causa secondo quanto stabilito dagli Statuti.


Libro Quarto secondo la trascrizione della copia settecentesca (dopo il restauro)

 
             La responsabilità sulle persone e sugli animani era, sempre e comunque tutta del proprietario: il padrone, dunque, aveva l'obbligo di rispondere dei servi, come un pater familias.
Solo successivamente poteva esigere la restituzione di quanto aveva dovuto pagare, da custodi e soci, purché non fosse stato lui stesso a ordinare il danno, per trarne profitto.

           Et se lo Saltaro accusarà uno de la famegha del damnificato, o vero il Lavoratore del damnificato, o il Padre, figliolo, o nepote alhora non possa il Saltare accusare li dicti sel non hà uno testimonio.
Et non trovando epso saltaro damnatore alcuno contra lui se proceda (se non fosse riuscito ad individuare il colpevole, si doveva procedere contro la guardia stessa). Aveva un solo modo per cavarsela: volemo che omne volta che non se può a trovare che abbia dato il danno, possa il saltaro accusare la Villa o il Burgho, dove è il loco del damno, in modo che ciascuna casata lì residente fosse obbligata al pagamento delle pene stabilite ed al risarcimento dei danni, a meno che qualcuno non si decidesse ad indicare il vero responsabile con prove legittime e buoni testimoni.


            La legislazione del tempo prevedeva che cadauno damnificato possa [...] nanti la sententia rimettere le accuse date a li damnificatori [...] et scanzelare le accuse pagando a Misser lo Vichario per tale canzello dinari sei moneta per accusa.

             Veniva inoltre stabilito che de cadauno damno dato in uno medemo dì, et tempo, non se possa fare se non una accusa, sebene le bestie siano de diversa sorte o de più persone, o siano li damnificaturi personalmente più de uno.
Il Vicario aveva l'obbligo morale di non accettare accuse inique, ovvero esagerate: 
Casi non justi, il non le accepti, ne toglia. Ma solum le juste

            L'ultima parte del libro si occupa delle parcelle da riconoscere ai Notari, per evitare l'insorgere di incomprensioni e fraintendimenti al momento opportuno: vengono stabilite le tariffe da applicare per li acti, instrumenti, scripture [...] o locatione, concessione, afficto, matrimoni con dote, eccetera.
Dall'elenco minuzioso di atti per i quali era necessaria una stipula di fronte al notaio, si evince come questo incarico investisse di autorità e potere immenso, oltre che di notevole ricchezza, chi lo esercitava.





* Proverbio Toscano
** Uccidere un cane non era considerato reato, ma legittima difesa






Bibliografia
Armanda Capucci, Statuto della terra di sant'Agata. Libri IV-1487, Lugo, Walberti Edizioni, 2001 

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