Siamo fatti cosí: il libro, anatomia di un manufatto inimitabile

Uno, molti, diversi: 
i libri, non solo esternamente, non sono tutti uguali


Nei post precedenti ci siamo soffermati sul ‘contenuto’ degli Statuti della Terra di S.Agata. Prima di dedicare altre pagine all'approfondimento delle norme che hanno regolato la vita dei cittadini per oltre due secoli, vorrei aprire una digressione a mio parere necessaria: come si è arrivati a produrre il libro nella forma e nella struttura che tutti conosciamo?

Quello che seguirà non sarà certamente un post esaustivo dell’argomento: vuole semplicemente offrire una breve panoramica di una vera e propria ‘innovazione tecnologica’ che ha permesso al sapere di diffondersi e - in questo caso - alla ‘legge’ di essere conosciuta e applicata*.

Fin dall’antichità, per trasmettere un messaggio, per scrivere una storia, ma anche per annotare i conti di casa o vergare un documento ufficiale, gli uomini hanno inciso, dipinto o scritto sui supporti più disparati: dalle pietre alle pelli, dalle tavolette cerate ai fogli ottenuti dalle fibre vegetali, come il papiro e la carta, dalle tavolette di argilla ai dischetti magnetici del computer.
Le caratteristiche dei vari materiali, le esigenze di chi doveva scrivere e di chi doveva leggere, l’uso che doveva essere fatto del messaggio nel tempo portarono alla selezione di alcuni materiali piuttosto che altri.

Il materiale che ebbe più successo nell’antichità fu il papiro, fabbricato in Egitto a partire dal III millenio a.C. circa. I fogli di papiro, le chartae, venivano scritti solamente sul lato nel quale le fibre vegetali erano disposte in senso orizzontale, agevolando cosí il tracciato del calamo; il testo si susseguiva colonna dopo colonna andando a formare le paginae, che venivano in seguito unite tra loro lungo il lato breve.
Terminata la lettura, il rotolo veniva arrotolato attorno ad un bastoncino di legno o avorio, l’umbilicus: nasceva cosí il volumen, lungo anche diversi metri. Riposto verticalmente in una capsa (custodia), veniva identificato da una etichetta di pergamena che riportava il titolo e l’autore dell’opera.

Anche i romani conobbero e produssero rotoli di papiro per testi ufficiali, ma data la scarsità della materia prima (coltivata e prodotta solo nei pressi di Siracusa), svilupparono un sistema diverso con il quale trasmettere note estemporanee: si servirono infatti di tavolette di argilla o di legno cerate su un lato. Scritte a ‘sgraffio’ con uno stilo, permettevano di ‘cancellare e correggere’, motivo per il quale venivano utilizzate sui banchi di scuola per imparare a scrivere e a fare di conto.
Una volta forate sul lato verticale, potevano essere legate insieme con delle cordicelle, formando il codex.

Nella fattura del codex il papiro venne utilizzato di rado, non essendo adatto a subire le piegature richieste per la formazione dei fascicoli, a differenza della pergamena, più flessibile e resistente.
Inizialmente anche la pergamena, infatti, veniva avvolta in volumina; solo successivamente ci si rese conto che era molto più pratico tagliare e piegare i fogli, inserirli uno dentro l’altro a formare i fascicoli e cucirli in sequenza, con o senza supporti.

Se da un lato si andava verso la creazione di un ‘libro’ che per essere letto doveva essere sfogliato e non srotolato, dall’altro venne sviluppato un sistema di protezione del corpo del testo e del suo contenuto: la legatura consisteva dunque in una cucitura che attraversava il centro dei fascicoli ancorandoli ai nervi.
Infine, il codice veniva rivestito per proteggere le carte. Il tipo di coperta e i materiali utilizzati variavano a seconda del tempo e del luogo nel quale veniva realizzato**.

Recenti ricerche hanno cominciato a mettere in discussione il postulato semplicistico “dal rotolo al codice” (e secondariamente “dal papiro alla pergamena”); le ragioni del cambiamento - graduale, sia pure giunto a completamento in un arco temporale definito - sono infatti molteplici e di natura diversa: dal punto di vista pratico, un codice poteva contenere testi più lunghi rispetto a un volume; dal momento che veniva scritto su entrambi i lati della pagina, il ‘libro’ divenne un manufatto più maneggevole e pratico da leggere e trasportare.
Non solo: la semplicità di reperimento di passi specifici del testo all’interno di un codice, fece sì che questo formato venne preferito dai seguaci del nascente Cristianesimo, anche per motivi di ‘contrapposizione ideologica’ alla cultura classica e Romana.

Nel XII secolo, tramite gli Arabi, giunse e si diffuse in Europa un nuovo materiale, la carta, destinato a cambiare per sempre la produzione e la fruizione del libro.
I tempi ed i costi di produzione di questo materiale fecero della carta il supporto scrittorio più diffuso, dal XV secolo addirittura predominante anche se ancora si continuò ad utilizzare la pergamena per i documenti più importanti e solenni.

Ma a cosa serv(iva) dunque un libro?

Il libro oggi può essere acquistato in vari luoghi deputati. Un tempo non era cosí.
Scrivere libri a mano o stamparli era molto costoso e di conseguenza venivano stampati o scritti solo quelli che erano richiesti. Il libro era un vero e proprio investimento.


* In seguito verranno dedicati post monotematici sui materiali e sulle tecniche che hanno caratterizzato il libro nel Medioevo.
**  Parleremo più diffusamente di storia della legatura in un post dedicato.




Bibliografia

Il restauro del libro: itinerari didattico per le scuole, a cura di Giuseppina Cusimano, Elena di Cesare, Rosalia Claudia Giordano, Gloria Pappalardi, Maria Claudua Romano. Palermo 2001

Carlo Pastena, Breve storia dei materiali scrittori dalle origini al XV secolo. Palermo  2001

Marilena Maniaci, Archeologia del manoscritto. Metodi, problemi, bibliografia recente. Roma, Viella, 2002


Commenti

Post popolari in questo blog

Una terra, un duca e due statuti

Il tarlo della corrosione

Delitto e castigo